Il bendaggio linfologico, fisso o mobile, viene utilizzato nel trattamento intensivo del linfedema, dopo la cura della cute, come potenziamento dell’azione antiedemigena effettuata al linfodrenaggio manuale e/o meccanico, associando una attività fisico-riabilitativa per amplificare gli effetti che sono: -l’aumento della pressione interstiziale con riduzione della pressione di filtrazione capillare -l’aumento del riassorbimento idro-proteico - la stimolazione del trasporto linfatico -il mglioramento della pompa venosa in pazienti con disfunzione veno-linfatica -l’ammorbidimento della fibrosi tissutale con l’utilizzo di adeguato sottobendaggio.

Per il confezionamento del bendaggio è necessario rispettare la legge di Laplace modificata (P = T n s / R a): dunque l’operatore si deve domandare quale Pressione, di riposo e di lavoro, stia esercitando sull’arto e verificarla attraverso l’utilizzo di un semplice device (es.Picopress).

La scelta del tipo di bende non prescinde dalla valutazione clinica del paziente (pz attivo o meno) ed è fondamentale sapere se coesistono delle patologie sistemiche (scompenso cardiaco, ischemia critica con ABI inferiore a 0.4) che controindicano l’applicazione del bendaggio stesso.

Nella scelta del sottobendaggio oltre alla valutazione della consistenza-comprimibilità alla palpazione, risulta utile l’ecografia ad alta risoluzione, con sonda lineare ad elevata frequenza, attraverso la quale è possibile evidenziare diverse possibili situazioni strutturali dell’edema che inducono a scegliere in modo mirato i sottobendaggi.

Dunque l’efficacia del bendaggio linfologico, difficile da standardizzare per la variabilità e difformità dell’arto, dipende dalla preparazione linfologica e della manualità dell’operatore e dalla scelta del materiale da utilizzare.


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